D'un tratto nel folto bosco

Non c’era nessuno in tutto il paese che potesse insegnare ai bambini che la realtà non è soltanto quello che l’occhio vede e l’orecchio ode e la mano può toccare, bensì anche quel che sta nascosto alla vista e al tatto, e si svela ogni tanto, solo per un momento, a chi lo cerca con gli occhi della mente e a chi sa ascoltare e udire con le orecchie dell’animo e toccare con le dita del pensiero.
Amos Oz


domenica 13 ottobre 2013

Medaglie di Marco Travaglio

Ieri mattina, a leggere gli organi di partito,
cioè quasi tutti i giornali italiani, il Fatto Quotidiano
risultava, nell’ordine: un’accozzaglia di
“somari”, il nuovo “organo del Pd” e un quotidiano
che “ignora la morale”. Le tre simpatiche
medaglie arrivano, nell’ordine: da Angelo
Panebianco sul Corriere della Sera, house organ
dell’inciucio Alfetta; dal blog di Grillo, per la
penna di tal Tinazzi; e dal “filosofo” Massimo
Adinolfi sulla fu Unità, foglio d’ordini del Pd che
un giorno sì e l’altro pure ci dipinge come l’organo
ufficiale dei 5Stelle. Tutti questi signori,
non essendo abituati alla libertà d’informazione
e di pensiero, non possono nemmeno immaginare
che esista un giornale senza padroni né
partiti presi, che giudica di volta in volta le forze
politiche elogiandole quando dicono o fanno
qualcosa di buono e criticandole nel caso contrario.
Essendo intruppati e irreggimentati, intruppano
e irreggimentano gli altri. E non si
accorgono che, continuando ad attribuirci padroni
di destra, di centro, di sinistra, di sopra e
di sotto, non fanno che esaltare la nostra assoluta
libertà e indipendenza. Prendiamo Panebianco:
fa parte della commissione dei 35
“saggi” (più 7) nominati da Letta Nipote e Napolitano
per riscrivere la seconda parte della
Costituzione, ma si guarda bene dal ricordarlo a
suoi lettori, mentre difende pro domo sua il lavoro
dei saggi, cioè di se stesso, citando Violante
(altro “saggio”) e diffamando chi non è d’accordo
con lui e ha promosso la manifestazione
di ieri a Roma. Che, a suo dire, non si proponeva
l’obiettivo disinteressato di difendere la Costituzione,
ma quello interessato di “creare un altro
(l’ennesimo) partitino politico”. Siccome
poi il nostro giornale ha raccolto 440 mila firme
di cittadini informati contro lo scassinamento
dell’art. 138 e contro i progetti presidenzialisti,
che in Italia hanno come padre nobile Licio Gelli,
il cripto-saggio Panebianco, scrive che chi
tira fuori la P2 è “un somaro patentato”. E aggiunge
che i giornali (compreso il Corriere , cioè il
suo) che si sono permessi di dare una notizia
vera – cioè l’indagine della Procura di Bari su
alcuni baroni universitari, fra cui cinque “saggi”,
per aver truccato concorsi – non l’hanno
fatto per informare i propri lettori, ma per una
“squallida operazione mediatica di ‘character assassination
’” per colpire “l’onorabilità di persone
perbene” e “delegittimare l’attività del gruppo
di lavoro” di cui fa parte anche lui, anche se
preferisce non dirlo. Poi c’è il mini-post del blog
di Grillo, che non contesta una riga di quanto
abbiamo scritto sul grave errore di Grillo e Casaleggio
a proposito dell’emendamento dei
5Stelle che impone l’abrogazione del reato di
clandestinità. Però scrive che il Fatto “ha sostituito
l’Unità come organo del Pd (menoelle,
ndr)”, insomma è un giornale di “falsi amici”, da
“non acquistare”, come fa l’estensore della pregiata
prosa, che rivela di non leggere “nulla” (e si
vede). È la tipica abitudine partitocratica di
classificare i giornali non per quello che scrivono,
ma per il loro grado di “amicizia” a questa
o quella forza politica. Quindi confermiamo:
noi non siamo “amici” né veri né falsi di nessuno:
quando qualcuno sostiene le nostre battaglie,
lo sosteniamo; quando qualcuno fa o dice
cazzate, lo combattiamo. Ora sarebbe divertente
chiedere al Pd (meno elle) che cosa ne dica di
avere come organo ufficiale il Fatto , che ha svelato
per primo gli scandali del Montepaschi e
dello strano conto aperto da Bersani e dalla sua
segretaria ora indagata. A proposito: sul (vero)
organo ufficiale del Pd, il “filosofo” Adinolfi
torna ad avventurarsi pericolosamente sul terreno
a lui totalmente sconosciuto – quello del
diritto – a proposito dell’indulto. Fra citazioni
di Catone, di Platone e – Dio lo perdoni – del
Vangelo, ripete il ritornello “meglio un colpevole
fuori che un innocente dentro”, purtroppo
non attribuibile né a Catone, né a Platone, né al
Vangelo.Ma purtroppo è totalmente estraneo
al tema dell’indulto, che è
uno sconto sulle pene derivanti da
condanne definitive, dunque non riguarda
un solo innocente: solo colpevoli.
Adinolfi, povero tapino, ci era già
cascato l’altro giorno, quando lacrimava
sui “poveri cristi” in custodia cautelare:
con l’indulto non ne uscirà neppure
mezzo, visto che si applica solo ai
condannati definitivi. Lo sventurato
conclude che “la proposta Manconi
esclude la cumulabilità dell’indulto” e
questa sarebbe la prova che Berlusconi
non c’entra. Ora, la proposta Manconi
si avvale, al momento, di un solo voto
(quello di Manconi), mentre i provvedimenti
di clemenza richiedono la
maggioranza parlamentare dei due
terzi. Ma soprattutto la non cumulabilità
dell’indulto può al massimo
escludere che Berlusconi possa usufruirne
per la condanna Mediaset, già
decurtata di tre anni dall’indulto del
2006; il Cavaliere potrà invece spendere
il nuovo bonus per tutte le condanne
che dovessero piovergli sul capo
nei processi Ruby, Ruby-ter, De Gregorio,
Tarantini e così via, visto che
non risultano esclusi da alcuna proposta
allo studio i reati di concussione,
corruzione, corruzione giudiziaria e
induzione alla falsa testimonianza. Ma
questi, forse, sono concetti troppi
complicati per un filosofo. Il quale, fra
l’altro, deve soffrire di uno sdoppiamento
della personalità. Ancora ieri,
infatti, irrideva al principio del “chi
sbaglia paga”, considerato “r e a z i o n ario”
oltreché contrario all’i n s e g n amento
di Platone, di Benjamin e del
Vangelo, al punto da indurre l’A d inolfi
a promettermi “in lettura qualche
libro di dottrine morali per ampliar(
mi) gli orizzonti”. Chissà se è lo
stesso Massimo Adinolfi che un mese
fa, il 7 agosto 2013, prima di ricevere le
nuove disposizioni di Napolitano e
dunque del Pd su amnistia e indulto,
scriveva sull’Unità: “Quanto poi alla
funzione della pena, Beccaria spiegava
che ‘il far vedere agli uomini che si
possono perdonare i delitti, o che la
pena non ne è la necessaria conseguenza,
è un fomentare la lusinga dell’i mpunità,
è un far credere che potendosi
perdonare, le condanne non perdonate
sian piuttosto violenze della forza,
che emanazioni della giustizia’. Il principio
è chiaro, ed è un principio di
giustizia: se le pene possono essere
cancellate dopo che sono state comminate,
allora è perché s’intende che
provenivano non dalla fonte legittima
del diritto, ma dall’esercizio discrezionale
e violento di un potere”. E ancora:
“Ma nessuno è innocente per definizione;
nessuno è al di sopra della legge.
E perfino nell’ipotesi che Silvio Berlusconi
sia stato vittima di un terribile
errore giudiziario, perfino in questo
caso dovrebbero i maggiorenti del Pdl,
dovrebbe il Cavaliere prima di tutti
considerare più alto il valore dei principi
liberali del nostro ordinamento
che non la sua conclusa vicenda giudiziaria,
dopo il vaglio di dozzine di
magistrati”. Ergo “bisogna difendere
regole del diritto e certezza della pena
prima di ogni altra cosa”. Niente Benjamin,
niente Platone, niente Vangelo,
quella volta. Poi è giunto il contrordine
di scuderia e tutti gli Adinolfi si
son messi sull’attenti. Infatti l’altro
giorno il poverino scriveva: “Travaglio
sarebbe in grado di tirare in ballo Berlusconi
anche in caso di collisione di
un meteorite sulla Terra: tutti scappano,
vuoi vedere che il meteorite è
precipitato per consentire a Berlusconi
di farla franca?”. Ma c’è un equivoco:
non siamo noi che, se cade un meteorite,
pensiamo che sia caduto perché
Berlusconi la faccia franca. Sono
loro che la fanno fare franca a Berlusconi
e poi dicono che è stato un
meteorite

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