D'un tratto nel folto bosco

Non c’era nessuno in tutto il paese che potesse insegnare ai bambini che la realtà non è soltanto quello che l’occhio vede e l’orecchio ode e la mano può toccare, bensì anche quel che sta nascosto alla vista e al tatto, e si svela ogni tanto, solo per un momento, a chi lo cerca con gli occhi della mente e a chi sa ascoltare e udire con le orecchie dell’animo e toccare con le dita del pensiero.
Amos Oz


domenica 13 ottobre 2013

Aldo Moro, Signoraggio Bancario e le strane coincidenze

http://sapereeundovere.it/Cosa accomuna diversi politici che si sono battuti per la Sovranità Monetaria?
In questo articolo analizzeremo le inquietanti coincidenze relative in particolar modo a tre esponenti politici che, poco dopo aver promosso leggi a favore della sovranità monetaria dei rispettivi Paesi, hanno poi fatto un brutta fine. Stiamo parlando di Abraham Lincoln, John Fitzgerald Kennedy e Aldo Moro.
Il problema di fondo è quello dell’emissione sovrana di moneta, ben noto per chi si occupa di Signoraggio Bancario. Abbiamo in parte toccato questo tema i due precedenti articoli: Signoraggio Bancario: perché il debito è inestinguibile? e Auriti, il valore indotto e la proprietà della moneta.
Le banche centrali di moltissimi Paesi, spacciate come istituti pubblici, ma in realtà Società per Azioni private possedute generalmente da famiglie di banchieri senza scrupoli, hanno da sempre utilizzato qualsiasi mezzo per occultare la loro vera natura e nascondere l’inganno agli occhi della popolazione.
Cerchiamo di riassumere brevemente i fatti.
Il presidente Lincoln nel 1862, ebbe un incontro privato con un amico di vecchia data, il colonnello Edmund Dick Taylor che suggerì di stampare biglietti di Stato a corso legale per fronteggiare le spese della Guerra Civile Americana scoppiata l’anno precedente. Questa idea scaturì anche a causa degli interessi usurai (dal 24 al 36 per cento) pretesi dai banchieri internazionali nell’eventualità di un prestito all’Unione. Lincoln ovviamente non accettò le condizioni poiché non voleva trascinare il proprio Paese nel baratro del debito. Così, nonostante forti opposizioni, il 25 febbraio 1862 firmò il First Legal Tender Act che autorizzava l’emissione dei biglietti di Stato, conosciuti in seguito come greenbacks, nome derivato dall’uso di inchiostri verdi per distinguerli dalle altre banconote.
Il 14 aprile 1865, durante uno spettacolo teatrale al Ford’s Theatre, John Wilkes Booth (attore che aveva più volte recitato proprio in quello stesso teatro) spara un colpo alla testa del presidente Lincoln. I lati oscuri della vicenda resteranno numerosi: l’assenza della guardia del corpo del presidente, impegnata a bersi qualche drink ed il mistero del killer, ufficialmente scovato e ucciso una decina di giorni dopo, anche se nel corso degli anni molti ricercatori hanno sostenuto che Booth fosse riuscito a scappare.
Facciamo un salto di un secolo.
John Fitzgerald Kennedy, il 4 giugno 1963, firma l’Ordine Esecutivo 11110, un decreto presidenziale che di fatto toglieva alla Federal Reserve Bank (la banca centrale presente negli Stati Uniti) ilpotere di stampare denaro, restituendolo al Dipartimento del Tesoro, come sancito nella Costituzione americana. Il governo USA tornava in possesso della propria sovranità monetaria grazie ad una legge esplicita che lo autorizzava a «emettere certificati d’argento a fronte di ogni lingotto di argento e dollari d’argento della Tesoreria».
Praticamente gli Stati Uniti si riprendevano il diritto di stampare moneta, collegando l’emissione di banconote alle riserve d’argento della Tesoreria, senza la necessità di chiedere prestiti ad interessi alla Federal Reserve: biglietti a corso legale sgravati dal debito all’atto di emissione. L’unica differenza visibile sulle nuove banconote rispetto alle precedenti era la dicitura: quelle successive all’ordine esecutivo di Kennedy riportavano “Biglietto degli Stati Uniti” (United States Note), le altre “Biglietto della Federal Reserve” (Federal Reserve Note).
Guarda caso pochi mesi dopo, il 22 novembre 1963, il presidente Kennedy verrà ucciso a Dallas. Dopo più di quarant’anni i punti oscuri di questo omicidio rimangono senza una plausibile e convincente spiegazione ufficiale. Al contrario, risultano ormai palesi le incongruenze, i depistaggi e le manomissioni relative alla vicenda. Come in altri casi anologhi, i poteri forti hanno manovrato nell’ombra per far passare l’idea che il tutto fosse riconducibile ad un mitomane, un povero pazzo isolato che aveva agito da solo (in questo caso Lee Harvey Oswald). Questo perché, per definizione, un’eventuale azione premeditata da più persone costituirebbe un complotto. Il che starebbe a significare l’esistenza di strategie occulte che meriterebbero un’attenzione profonda da parte del pubblico. Ed è ovvio che i criminali complottisti abbiano tutto l’interesse nel mantenere un basso profilo e non essere scoperti.
Stranamente anche lo squilibrato, l’utile idiota dell’omicidio Kennedy, verrà a sua volta messo a tacere per sempre prima ancora di poter rivelare qualche informazione compromettente, ucciso in pubblico da Jack Leon Ruby (nato Jacob Leon Rubenstein), apparentemente senza un valido movente, appena un paio di giorni dopo l’assassinio del presidente USA. Il bello è che “Sparky” Jack Ruby riuscì ad eliminare lo scomodo testimone davanti alla centrale di polizia di Dallas, proprio mentre Oswald veniva scortato da un gruppo di poliziotti al vicino carcere statale. Inutile dire che pure Ruby morirà poco dopo, ufficialmente per un’embolia polmonare, il 3 gennaio 1967, dopo aver scampato una sentenza di morte dettata dal tribunale il 14 marzo 1964. Sia Oswald che Ruby avevano dichiarato più volte di essere stati incastrati.
Facciamo notare, fra parentesi, che pure la data  della morte di Kennedy presenta una particolare coincidenza: cade esattamente cinquantatré anni dopo l’incontro (all’epoca segreto) tenuto sull’isola di Jekill (Jekill Island) fra un gruppetto di banchieri che stavano sviluppando il progetto che avrebbe portato a costituire proprio la Federal Reserve. Un fatto che potrebbe apparire casuale per chi è a digiuno di esoterismo, rituali e la logica relativa a gruppi massonici e paramassonici. Invitiamo perciò i nostri lettori ad approfondire la questione con studi e ricerche. Prossimamente pubblicheremo una serie di articoli al riguardo.
Veniamo al caso Moro. Negli anni sessanta lo statista della Democrazia Cristiana decise di finanziare la spesa pubblica italiana attraverso l’emissione di cartamoneta di Stato sgravata da debiti, in tagli da 500 lire, ossia con un “biglietto di Stato a corso legale”.
Con i DPR 20-06-1966 e 20-10-1967 del presidente Giuseppe Saragat venne regolamentata la prima emissione, la serie “Aretusa” (Legge 31-05-1966), mentre il presidente Giovanni Leone regolarizzò con il DPR 14-02-1974, la serie “Mercurio” (DM 2 aprile 1979), le famose banconote da 500 lire conosciute come “Mercurio alato”.
Già all’epoca la sovranità monetaria dell’Italia era limitata: allo Stato era concesso (chiedetevi, fra l’altro, da chi fosse “elargita” questa concessione) solamente il diritto di conio delle monete attraverso la Zecca, mentre le banconote venivano aquistate dal Fondo Monetario Internazionale. Un po’ come accade oggi, dove ai singoli Paesi europei spetta il diritto di coniare gli euro di metallo ma non le banconote, che vengono emesse dalla Banca Centrale Europea. Per questo quando nel 2002 Giulio Tremonti, all’epoca ministro dell’Economia, propose di sostituire le monete da uno e due euro, Wim Duisenberg, primo governatore della BCE, rispose con un avvertimento: «Spero che Mr. Tremonti si renda conto che se tale banconota dovesse essere introdotta, egli perderebbe il diritto di signoraggio che si accompagna ad essa. Dunque se egli, come ministro dell’Economia, ne sarebbe contento non lo so».  Fra parentesi ci sarebbe anche da indagare sulla strana morte di Duisenberg, avvenuta il 31 luglio 2005, nemmeno due giorni dopo le sentenze di rinvio a giudizio pronunciate a Milano contro le filiali Deutsche Bank, UBS, Morgan Stanley e Citygroup partite dai procuratori che stavano indagando sul crac Parmalat. Ricordiamo che il banchiere olandese era stato eletto primo presidente della Banca Centrale Europea proprio grazie all’appoggio del colosso bancario tedesco. Coincidentemente, nelle stesse ore, precipitava dalla finestra del suo appartamento di New York Arthur Zankel, ex membro del consiglio di Citybank.
Ma forse stiamo divagando troppo, torniamo alle 500 lire cartacee emesse dai governi Moro.
Lo statista, per ovviare ai limiti imposti di cui sopra, utilizzò un brillante stratagemma. Dopo aver autorizzato il conio delle 500 lire di metallo, fece una deroga che permetteva, contemporaneamente, l’emissione della versione cartacea, che poteva in questo modo essere stampata ugualmente dalla Zecca di Stato.
Il 16 marzo 1978 Aldo Moro venne rapito e ucciso il 9 maggio dello stesso anno. Casualmente, in seguito al tragico avvenimento, l’Italia smise di emettere biglietti di Stato.
Come per gli omici di Lincoln e Kennedy, anche in questo caso i punti oscuri sono numerosissimi.
Uno dei fattori comuni è il ruolo dei servizi segreti. La versione ufficiale che additava la responsabilità alle fantomatiche Brigate Rosse non hai mai convinto le persone minimamente informate sui fatti. La strategia della tensione era chiaramente funzionale alla volontà di destabilizzare l’Italia, obiettivo confermato e dichiarato anche nell’Operazione Chaos e nell’Operazione Condor in America latina (fra i tanti misteri dei Servizi, mai sentito parlare dell’ufficio K?).
Più volte è stata avanzata l’ipotesi dei tre livelli delle BR: base ideologizzata utilizzata come manovalanza, alcuni capicolonna eterodiretti come Mario Moretti ed il centro studi Hyperion di Parigi, una scuola di lingue usata come copertura per uno degli avamposti della CIA in Europa, il corrispettivo francese della Gladio italiana, il tutto parte della rete NATO “Stay Behind”.
I dubbi su Moretti (capo effettivo delle Brigate Rosse durante il sequestro Moro) circa il suo ruolo di infiltrato, spia e doppiogiochista dei servizi segreti sono stati sollevati più volte dagli stessi brigatisti, ad esempio Alberto Franceschini, Renato Curcio, Giorgio Semeria e Valerio Morucci o da personaggi come il senatore Sergio Flamigni, che definì il capo brigatista “la sfinge”. Addirittura vennero fatti degli accertamenti da parte di alcuni esponenti delle BR su questo losco individuo, prima del sequestro dello statista, ma non ne venne fuori nulla e così Moretti rimase ai vertici dell’organizzazione.
È ormai risaputa la presenza del colonnello del Sismi Camillo Guglielmi in via Stresa la mattina dell’agguato e del rapimento di Moro avvenuto in via Fani, a soli duecento metri di distanza. Cosa ci facesse da quelle parti non è mai stato chiarito. E nemmeno un’altra delle miriadi di coincidenze: nello stesso palazzo in via Gradoli 96 dove viveva Moretti al tempo del sequestro c’erano almeno 24 appartamenti intestati a società immobiliari fra i quali amministratori figuravano membri dei servizi segreti. Al secondo piano dello stabile viveva un’informatrice della polizia, mentre al n° 98 della solita via abitava un compaesano di Moretti, agente segreto militare ed ex ufficiale dei carabinieri.
Qualche anno fa nel libro Nous avons tué Aldo Moro di Emmanuel Amara pubblicato da Patrick Robin Editions (uscito in Italia con il titolo Abbiamo ucciso Aldo Moro. Dopo trent’anni un protagonista esce dall’ombra edito da Cooper e curato da Nicola Biondo), Steve Pieczenik, assistente del sottosegretario Usa nel 1978, psichiatra, specialista in “gestioni di crisi”, esperto di terrorismo, mandato in missione da Washington su “invito” di Francesco Cossiga durante i cinquantacinque giorni del sequestro, ha rivelato: «Ho messo in atto la manipolazione strategica che ha portato alla morte di Aldo Moro al fine di stabilizzare la situazione dell’Italia. I brigatisti avrebbero potuto cercare di condizionarmi dicendo “o soddisfate le nostre richieste e lo uccidiamo”. Ma la mia  strategia era “No, non è così che funziona, sono io a decidere che dovete ucciderlo a vostre spese”. Mi aspettavo che si rendessero conto dell’errore che stavano commettendo e che liberassero Moro, mossa che avrebbe fatto fallire il mio piano. Fino alla fine ho avuto paura che liberassero Moro. E questa sarebbe stata una grossa vittoria per loro».
Pieczenik non solo ha ammesso di aver intavolato una falsa trattativa con i brigatisti, ma dice spudoratamente che uno degli obiettivi fu quello di costringere le Brigate Rosse ad uccidere Moro: «La mia ricetta per deviare la decisione delle BR era di gestire un rapporto di forza crescente e di illusione di negoziazione. Per ottenere i nostri risultati avevo preso psicologicamente la gestione di tutti i Comitati (del Viminale n.d.r.) dicendo a tutti che ero l’unico che non aveva tradito Moro per il semplice fatto di non averlo mai conosciuto».
Il colpo di grazia venne inferto quando risultò evidente che Moro fosse ormai disperato e si decise di attuare il piano della Duchessa, un falso comunicato da attribuire alle Brigate Rosse: «I brigatisti non si aspettavano di trovarsi di fronte ad un altro terrorista che li utilizzava e li manipolava psicologicamente con lo scopo di prenderli in trappola. Avrebbero potuto venirne fuori facilmente, ma erano stati ingannati. Ormai non potevano fare altro che uccidere Moro. Questo il grande dramma di questa storia. Avrebbero potuto sfuggire alla trappola, e speravo che non se ne rendessero conto, liberando Aldo Moro. Se lo avessero liberato avrebbero vinto, Moro si sarebbe salvato, Andreotti sarebbe stato neutralizzato e i comunisti avrebbero potuto concludere un accordo politico con i democristiani. Uno scenario che avrebbe soddisfatto quasi tutti. Era una trappola modestissima, che sarebbe fallita nel momento stesso in cui avessero liberato Moro».
Secondo le parole di Pieczenik Cossiga era d’accordo con praticamente la maggior parte delle scelte proposte: «Moro, in quel momento, era disperato e avrebbe sicuramente fatto delle rivelazioni piuttosto importanti ai suoi carcerieri su uomini politici come Andreotti. È in quell’istante preciso che io e Cossiga ci siamo detti che bisognava cominciare a far scattare la trappola tesa alle BR. Abbandonare Moro e fare in modo che morisse con le sue rivelazioni. Per giunta i carabinieri e i servizi di sicurezza non lo trovavano o non volevano trovarlo».
Gli obiettivi raggiunti con questa strategia furono molteplici: venne eliminato Moro, le BR furono messe a tacere e fu possibile entrare in possesso del vero memoriale e delle registrazioni dell’interrogatorio dello statista italiano. Quello dell’esponente della Democrazia Cristiana è stato un sacrificio umano, come dichiarato apertamente da Pieczenik: «Mai l’espressione “ragion di Stato” ha avuto più senso come durante il rapimento di Aldo Moro in Italia». E come ogni rituale, la scena del delitto era carica di simbologia esoterica, evidente soprattutto per gli iniziati. Il discorso merita un articolo a parte, che verrà pubblicato prossimamente. La cosa meno esoterica fu la seduta spiritica alla quale partecipò Romano Prodi, dove venne fuori la parola “Gradoli”, il nome della via in cui era situato il covo dei sequestratori di Moro. Quella stessa via nella quale erano presenti immobili di proprietà dei servizi segreti. Ovviamente la seduta spiritica fu un escamotage per tenere sotto copertura la fonte della soffiata che comunque venne deliberatamente ignorata. Venne sviata l’attenzione su Gradoli in provincia di Viterbo, arrivando addirittura ad affermare che non esistesse nessuna via a Roma con quel nome.
Va anche tenuto presente che all’epoca del sequestro i massimi dirigenti dei Servizi erano appartenenti alla Loggia P2. Senza considerare che alcuni anni prima, durante la visita negli Stati Uniti dello statista italiano nel settembre 1974, Henry Kissinger lo minacciò pesantemente, come riferito dal portavoce di Moro, Corrado Guerzoni, davanti ai giudici. Per non parlare della testimonianza della moglie dell’esponente della DC, che dichiarò alla commissione parlamentare a proposito delle evidenti minacce fatte al marito da parte della delegazione americana: «Lei deve smettere di perseguire il suo piano politico di portare tutte le forze del suo paese a collaborare direttamente. Qui, o lei smette di fare questa cosa, o lei la pagherà cara, veda lei come la vuole intendere».
Un’altra delle numerose coincidenze fu la morte di Pier Paolo Pasolini che, guarda caso, aveva espresso pubblicamente le sue perplessità, avanzando ipotesi e connessioni tra “stragi di Stato”, poteri forti, servizi segreti internazionali, politici, petrolieri e banchieri. Già nel 1975 aveva fatto notare che la “Strategia della Tensione” era cominciata il 12 dicembre 1969 proprio con l’attacco alle sedi di tre banche: la Banca Nazionale dell’Agricoltura di Piazza Fontana a Milano, la Banca Commerciale Italiana, anch’essa a Milano (dove per fortuna la bomba rimase inesplosa) e la Banca Nazionale del Lavoro in via Veneto a Roma.
La Banca Nazionale dell’Agricoltura, che aveva comiciato ad emettere le 500 lire cartacee poco prima di questi tragici eventi, casualmente interruppe l’emissione dei biglietti di Stato a corso legale dopo gli attentati.
Guardatevi il video della relazione di Marco Saba sul tema di Signoraggio Bancario e stragi di Stato. Sentite cosa dice a proposito dei libri Il bilancio dello Stato – Un istituto in trasformazione – Franco Angeli / La finanza pubblica (1977) di Giuliano Passalacqua e del Libro bianco del Ministero del Tesoro (1969): «A proposito dei buoni ordinari del tesoro, il grado di liquidità dei BOT può essere uguale a quello della base monetaria se la Banca d’Italia li acquista senza limiti ad un prezzo uguale a quello di emissione». In poche parole la Banca d’Italia (quando era un po’ più statale di ora) poteva comprare illimitatamente BOT alla pari, senza dover pagare interessi; praticamente come se lo Stato italiano si fosse stampato la propria moneta. Come riferisce Marco Saba, la cosa importante da notare è che questa era la pratica che effettivamente esisteva in Italia fino al 1969, anno della strage di piazza Fontana e delle bombe nelle banche. Senza considerare il discorso sui residui passivi.
Altro tema interessante è quello sulle guerre, le quali hanno quasi sempre a che vedere con il ricatto ed il potere bancario nei confronti dei Paesi che hanno le banche nazionalizzate ed una gestione della moneta a livello statale. Saba pone l’esempio della rivoluzione iraniana che cominciò quando Khomeini fece due leggi contro l’usura e nazionalizzò le banche.
Chissà perché chi si occupa di denunciare e contrastare le attività criminose di banchieri senza scrupoli generalmente non fa una bella fine. Per esempio Federico Caffè, scomparso alle prime luci dell’alba dalla sua casa a Roma, dove viveva con il fratello Alfonso, il 15 aprile nel 1987 (coincidentemente lo stesso giorno della morte del presidente Abraham Lincoln). Un paio di anni prima, il 27 marzo 1985, il suo allievo Ezio Tarantelli venne ucciso nel parcheggio dell’Università La Sapienza, attentato poi rivendicato dalle fantomatiche Brigate Rosse per la costruzione del Partito Comunista Combattente.
Sia ben inteso, sono tutte coincidenze.

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