D'un tratto nel folto bosco

Non c’era nessuno in tutto il paese che potesse insegnare ai bambini che la realtà non è soltanto quello che l’occhio vede e l’orecchio ode e la mano può toccare, bensì anche quel che sta nascosto alla vista e al tatto, e si svela ogni tanto, solo per un momento, a chi lo cerca con gli occhi della mente e a chi sa ascoltare e udire con le orecchie dell’animo e toccare con le dita del pensiero.
Amos Oz


martedì 12 marzo 2013

Don Gallo: «Sogno un papa sudamericano. E a Grillo e al M5S dico: diventate democratici»


Il prete da marciapiede a ruota libera, dalla politica al Conclave. Domenica ha detto messa per Chavez. E lancia un appello all'amico Beppe: «Sedetevi al tavolo per le riforme». L'intervista
Don Andrea Gallo
Don Andrea Gallo © Stefano Goldberg (Publifoto)

«Il mio sogno è quello di un papa sudamericano, anche se i 115 cardinali che entrano oggi in Conclave difficilmente lo eleggeranno. Li hanno nominati Wojtyla o Ratzinger, e quindi sono espressione di una Chiesa che non vuole cambiare».
Dopo settimane di polemiche sulle sue prese di posizione - dalletirate d'orecchie a Beppe Grillo all'auspicio di vedere un papa gay - ora pesa le parole Don Gallo: dal suo studio nella Comunità di San Benedetto il prete degli ultimi studia i giochi di potere delle più alte sfere della Chiesa romana.
«Chiudetevi bene, ma lasciate uno spiraglio per lo spirito santo» scrive su Twitter il don: le scelte dei porporati blindati nella Cappella Sistina si riverbereranno anche su di lui, prete da marciapiede, che fuori dai giochi di potere della Curia c'è sempre stato.
E per marcare ancora meglio la sua posizione, domenica scorsa ha celebrato una messa in memoria di Chavez. Chiudendola cantando dall'altare El pueblo unido. Qualche tempo prima, era toccato a Bella ciao.
Don, come ti è venuto in mente di dire messa per Chavez?
«È stata una richiesta di alcuni fedeli sudamericani, ecuadoriani e venezuelani. Per me è stato un modo per ricordare un cammino di liberazione di un popolo. Un popolo che il nostro Occidente opprime da 500 anni, che è arrivato a una svolta grazie a un movimento pacifico e partigiano. I sudamericani sono persone concrete: qualche anno fa, a Roma, ho partecipato a una riunione della Fao insieme a dei campesiñosboliviani. Mentre troppi si spendevano in parole vuote, in esercizi di retorica, loro parlavano di azioni reali e cose concrete per andare verso la vera democrazia».
E qui in Italia, come stiamo messi a democrazia?
«Il paese è immerso nella crisi perché è la democrazia che non regge. In questo momento serve una tregua di riflessione per prepararsi a una vera competizione democratica. Bisogna sedersi intorno a un tavolo e varare le riforme più urgenti, tra cui una nuova legge elettorale, e andare a votare di nuovo in autunno. L'alternativa è un gioco al massacro».
Ce l'hai con Grillo?
«Chiudersi nel bunker non serve a niente: questo il momento di andare al tavolo e discutere».
Con Beppe siete amici. Gliele hai dette queste cose? L'hai chiamato?
«No, perché lui non sente nessuno. In questo momento è una vera furia e sbatte il telefono in faccia anche agli amici. E pensare che mi aveva telefonato lui il 16 febbraio, prima delle elezioni, dicendomi che ci saremmo incontrati a Genova. È stata l'ultima volta che l'ho sentito».
Tu hai sempre appoggiato Sel. Che ne pensi del Movimento Cinque Stelle?
«Il voto di massa al M5S è stato un grande esercizio democratico. Ma quella di Grillo è una democrazia autoritaria. L'obiettivo del movimento, ora, dev'essere quello di prendere coscienza e maturare, diventando democratico al proprio interno. La logica del peggio è illogica. Per questo sono contento che Michele Serra e tanti altri abbiano ripreso cose che io dico da tempo per scrivere un appello che inviti Grillo alla responsabilità di questo momento storico: io sono stufo di sentire gente che viene a bussare alla porta della mia Comunità perché è in difficoltà per la crisi, per il precariato o perché ha perso il lavoro. Come diceva Manzoni, quando i colpi cadono all'ingiù sono i cenci che van per aria».
Ma vedi un terreno d'incontro tra Pd, Sel e Cinque Stelle?
«Al di là degli insulti reciproci non c'è incompatibilità, ma ci sono soltanto incomprensioni. Il popolo grida per avere delle riforme. Adesso è importante trovare un accordo per farle. Bisogna dare dei segnali, come la legge elettorale, il diritto di cittadinanza e i beni comuni».
Se la politica deve cambiare, la Chiesa cosa deve fare?
«Deve riformarsi, altrimenti non starà più in piedi: deve abbandonare la sua struttura assolutistica e monarchica e ripartire da quella primavera della Chiesa che è stato il Concilio. Abbiamo bisogno di un dialogo al nostro interno, anche se a noi ultimi non ci caga mai nessuno. Tre sono le riforme da fare: un ritorno alla povertà, l'ordinazione femminile e il celibato».
Che papa vorresti?
«Un papa che cammini insieme agli altri, con gli ultimi. Abbiamo bisogno di un testimone autentico, che sappia cercare la brace che c'è sotto la cenere. Sogno un papa extraeuropeo. Un sudamericano lo meriterebbe davvero, perché l'America Latina è una conca di cattolicesimo autentico».
Matteo Paoletti

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